martedì 19 luglio 2016

DIALOGHI IMMAGINARI - OUTLANDER, L'IDENTIKIT

Inverness, autunno 1971


Quando suonai alla porta dell'anziano Mr Travis quella mattina, non pensavo minimamente di essere a pochi istanti da uno dei peggiori shock della mia  vita. Ero tranquilla, insolitamente serena. Riposata, come lo ero raramente negli ultimi tempi, giacchè dormivo piuttosto male da quando ero tornata in Scozia. Senza contare che, credetemi, non è affatto facile sconvolgermi. Ho avuto una vita piuttosto avventurosa, capite.


Mr Travis era stato un funzionario della polizia di Inverness dal 1922 al 1950.
Alcune settimane prima, poco dopo il mio ritorno in Scozia, mi ero imbattuta in lui mentre passeggiavo senza meta guardando le vetrine su Main Street, un'attività che trovo alquanto rilassante. Era un signore distinto, chiaramente avanti con gli anni, e lo avrei sorpassato senza quasi notarlo, se lui non avesse fatto un gran balzo indietro nel vedermi, mormorando qualche istintivo scongiuro in gaelico e stampandosi il palmo della mano destra sulla fronte in segno di enorme sorpresa. Incredibilmente, poi, mi aveva chiamato per nome.
- Voi siete Mrs Randall, vero? Mrs Claire Randall.
Anche dopo tanto tempo, essere chiamata Mrs Randall qui, a pochi chilometri da quel che rimane di Lallybroch, mi fa un effetto alquanto disturbante. "Fraser" avrei voluto rispondergli piccata. "Il mio nome è Claire Fraser, Lady Broch Tuarach". Ma naturalmente non avrebbe avuto alcun senso, per lui. Avevo dunque composto il mio viso in un educato sorriso di circostanza.
- Sono proprio io - avevo risposto cauta. - Ci conosciamo, per caso, Mr... ?
A ben pensarci doveva essere veramente sconvolto per approcciarmi in modo così ineducato, in mezzo ad una strada, senza un saluto, e senza la decenza di presentarsi adeguatamente. Piuttosto inaspettato per un attempato gentiluomo delle Highlands.
- Och, aye, perdonatemi Madam, ma mi avete colto vermente di sorpresa. Mi chiamo Travis, Charles Brian Travis, ma naturalmente potete chiamarmi Charlie.  No, non ci conosciamo, o meglio voi non mi conoscete ma io conosco voi. Ero un poliziotto, vedete, quando voi... voglio dire quando siete...
Compresi immediatamente quello che intendeva.
- Oh, capisco - sorrisi per toglierlo dall'imbarazzo -  Quando scomparvi, tanti anni fa, intendete dire.
Emise un verso scozzese in fondo alla gola, quel tipo di rumore che avevo imparato a decifrare così bene nel corso della mia altra vita, e che in questo caso significava "si esattamente, grazie per non avermi costretto a dirlo". Il suo viso costernato era piuttosto comico: doveva essersi reso conto di
avere imperdonabilmente infranto l'etichetta. Tuttavia trovò il coraggio di continuare a parlarmi.


Ero stata il suo ultimo caso, mi aveva spiegato, ed era dovuto andare in pensione con una macchia sul suo curriculum, non essendo stato possibile risolverlo. Non che me ne facesse una colpa, per l'amor del cielo, certo che no. Ad onor del vero, aveva proseguito, la mia sparizione non era stata affidata
ufficialmente a lui ma dopo 2 settimane dalla mia scomparsa tutti i poliziotti di Inverness ne erano a conoscenza ed in qualche modo partecipavano alle indagini. Era stato un caso piuttosto sentito, anche a livello di opinione pubblica. Una giovane donna inglese, sparire così nelle campagne... c'erano
state molte congetture, ogni singolo abitante di Inverness a quanto pare aveva avuto la sua teoria, in proposito.
Tutti conoscevano anche Frank, mi aveva detto, perchè si presentava alla stazione di polizia con cadenza regolare a chiedere quali fossero gli sviluppi delle indagini. Purtroppo, e mi guardò comprensivo, non ce n'erano mai, come dovevo ben sapere.
Mr Travis, o meglio Charlie, si era interessato a me in maniera particolare per via di una certa rassomiglianza con la sua figlia più giovane, che sfortunatamente era deceduta 3 anni prima del mio numero di magia, a causa di una brutta influenza. Mi rammentai con un certo sgomento che nella Scozia degli anni 40 era altrettanto facile morire per una malattia banale che in quella del Diciottesimo Secolo. Io stessa l'avevo visto accadere molte volte.
Charlie aveva dunque raccolto tutti i documenti che mi riguardavano nel corso di alcuni mesi, aveva parlato coi testimoni nel tempo libero, aveva fatto sopralluoghi e congetture... ma nonostante l'impegno profuso aveva dovuto ritirarsi senza aver capito nulla della mia misteriosa scomparsa ne
tantomeno della mia miracolosa riapparizione. E se avevo destato scalpore sparendo, quando ero tornata la gente era andata davvero in delirio... in parte per la curiosità di sapere che fine avessi fatto, in parte perchè, me ne rendo conto, avevo tenuto un comportamento che doveva essere apparso alquanto singolare, specialmente per la moglie di un affermato storico, con tutte le mie assurde domande su Culloden e sui Clan. E poi, certo, c'era il fatto della mia gravidanza, un dettaglio piuttosto piccante per quei tempi.


Era stato sufficiente scambiare qualche parola, per rendermi conto che che nonostante l'età, Mr Travis era ancora dotato di un intelletto piuttosto vivace. Ed era sempre molto interessato alla mia storia, come le sue chiacchiere rendevano evidente. Principalmente per questo motivo, suppongo, era arrivato ad invitarmi a casa sua, con la promessa di mostrarmi quello che definiva "il mio dossier".
Mi aveva guardato con aria speranzosa, attendendo che accettassi o declinassi l'invito. Naturalmente si rendeva conto, una donna sola, in casa di un uomo non sposato... ma dopotutto era un ottuagenario ben conosciuto per la sua condotta irreprensibile, e potevo stare tranquilla che non avrei corso alcun rischio nel trovarmi sola con lui, ne' dal punto di vista dell'incolumità fisica, ne' da quello - che lui doveva trovare ancora più importante - della mia reputazione.. Divertita da queste educate precisazioni, dopo un attimo di tentennamento, avvevo sentito la mia voce accettare l'invito per
la mattina seguente.  Charlie cominciava a piacermi, e sembrava tenerci davvero molto.
Senza contare che anche lui aveva qualcosa che mi risultava familiare. Un'espressione che avrei potuto giurare di aver già visto. Ma da quando sono tornata in Scozia, devo confessare di non poter fare pieno affidamento sui miei sensi. Passato e presente a volte si confondono nella mia mente, e mi pare di vedere ad ogni angolo visi conosciuti, espresisoni note e sguardi già incontrati. Se non fossi un dottore, penserei di essere semplicemente ammattita. Da medico, so che si tratta di una sorta di stress post traumatico a scoppio ritardato, chiaramente dovuto al mio ritorno qui dopo tanti anni, e alla tendenza ad affogare nei ricordi. Chissà, però, chi erano i suoi antenati.


Comunque sia, eccomi qui, puntuale e col dito sul campanello, in una mattina chiara e frizzante, col cielo ancora indeciso se tingersi di azzurro o mantenere la lieve promessa di pioggia tipica dell'autunno scozzese.
Charlie mi aprì sollecito, abbigliato impeccabilmente nonostante l'ora piuttosto mattiniera, mi invitò ad entrare e mi prese soprabito e ombrello con un unico movimento incredibilmente fluido per un uomo che aveva superato l'ottantina. La casa era in ordine perfetto, luminosa, e sapeva di buon tabacco e di whisky ancora migliore. Mi ricordava vagamente l'odore della sala principale di Leoch, dove Colum consumava (certo a scopi puramente medicinali) le sue scorte dei migliori alcolici della regione, ma senza il sottofondo dovuto alla presenza di tanti uomini vigorosi e sudati tutti insieme.
Per un attimo fui davanti al grande camino, con le tavole imbandite, e rividi con mia sorpresa il viso solerte ed allegro di Mrs Fitz che dava le ultime istruzioni per la cena, prima di sedersi a sua volta. Era un ricordo neutro e piacevole, per una volta.
Il mobilio di casa Travis era vecchio, ma lucido come doveva esserlo stato il giorno che era uscito dalla falegnameria. Gli scaffali erano pieni di fotografie di famiglia, tra cui la figlia deceduta che riconobbi subito per via di una cascata di riccioli mori identica a quella che avevo avuto io alla sua età. All'improvviso una voce nella mia testa disse molto chiaramemte "vieni da me, mo duinne".
Il mio cuore mancò un battito, ma mi sforzai di non darlo a vedere.
Charlie indovinò parte dei miei pensieri, presumo dalla direzione del mio sguardo.
Jamie capiva sempre quello che pensavo solo guardandomi, e mi aveva spesso derisa per la mia incapacità di nascondere quello che mi passava per la mente. Evidentemente non ero diventata più brava, col tempo.
Un altro piccolo battito cardiaco si perse nel ricordo del suo viso, divertito e beffardo.
Ormai era rimasto solo, mi spiegò il mio ospite con aria afflitta. Era vedovo da molti anni, e i suoi due figli superstiti si erano trasferiti a Glasgow con le loro famiglie.
- Per via del lavoro, capite - mi disse. - Purtroppo non li vedo quasi mai, e così mi consolo con le fotografie.
Sorrisi, con comprensione, ed il momento di malinconia passò, così come il mio lieve senso di stordimento. Charlie recuperò velocemente la sua vivacità e con un energico "Bene, Mrs Randall, veniamo a noi" mi fece accomodare nel salotto buono.


Il fascicolo che mi mise le meani era imponente, e teneva scrupolosa nota di tutti i sopralluoghi, le ipotesi, i rilevamenti, le più bizzarre teorie - tra cui una vera, peraltro, frutto della deposizione di Mrs Graham, alla quale naturalmente non era stato dato alcun credito - e di tutte le innumerevoli visite di Frank alla stazione di polizia alla disperata ricerca di una verità qualunque. Charlie era chiaramente compiaciuto del lavoro svolto, benchè rimasto senza risultato. Sapeva di avere - o di aver avuto in gioventù - un fiuto da vero segugio, e sperava che la mia presenza gli avrebbe fornito se non proprio la mia versione dei fatti, almeno un indizio decisivo per arrivare da solo alla soluzione dell'enigma.
Cosa che era ovviamente impossibile, a meno che non credesse alle fate, e sono certa che non ci credeva. Stavo quindi sfogliando il fascicolo distrattamente e mezzo sorridendo dell'orgoglio di quel simpatico vecchietto, quando il foglio col disegno scivolò fuori silenzioso, posandosi delicatamente sulle mie caviglie.
- Oh, ecco l'Highlander! - disse Charlie riconoscendolo - Aye, è prprio lui.
Raccolsi il foglio e sbiancai. Si trattava di un identikit, così mi disse il mio ospite, anche se purtroppo non si era rivelato molto utile, perchè non mostrava il viso, ma solo le fattezze fisiche e l'abbigliamento. Un identikit fatto sulla base di qualcosa che Frank aveva raccontato dopo la mia scomparsa, circa qualcuno che apparentemente mi spiava nell'ombra la sera prima che sparissi. Un rapitore? O magari un amante, ammiccò Charlie con aspettativa. La seconda, capii, era stata la tesi ufficiale della polizia, all'epoca.
Il disegno rappresentava un uomo col volto nascosto , in abiti scozzesi, di corporatura imponente e dai capelli innegabilmente rossi. Mi sentii male, e non mi curai di nasconderlo. Non poteva essere una coincidenza. Ma come poteva, in nome di Dio, Frank avere un'idea così precisa del suo aspetto? Guardai fisso quel disegno dimenticandomi di tirare il respiro, e le linee del viso presero vita, disegnando un naso dritto, degli occhi chiari e penetranti, una massa di riccioli illuminati dal sole nascente. Dopo qualche istante, indecorosamente, svenni.


Il ricordo arrivò nel sonno tormentato dell'assenza di coscienza.
Una notte gelida. Una forte nevicata. Io sola nella stanza della locanda.
Frank era andato dal Reverento Wakefield per una delle loro solite disquisizioni sulla storia della rivolta, ed rientrato con una espressione sconvolta sul viso.
Un uomo, c'era un uomo in strada, proprio sotto la mia finestra, che mi fissava apertamente.
Frank era stato a guardarlo per diversi minuti, e lui non aveva mosso un muscolo, la testa lievemente alzata e lo sguardo inchiodato su di me.
Indossava un kilt, chi diavolo indosserebbe un kilt in una notte come quella? Aveva provato a parlargli, ma lui era scomparso nel nulla.
"Sarà andato a scaldarsi in qualche pub", avevo obiettato ragionevole, piuttosto divertita dall'aria spaventata del mio razionale marito, uno studioso di fama internazionale che aveva appena avuto una inspiegabile visione.
Ma no, non se n'era semplicemente andato. Era sparito improvvisamente e senza lasciare tracce, neppure le impronte dei suoi passi nella neve fresca. Come svanito nel nulla.
Mi stai dicendo che era un fantasma, professore? gli avevo chiesto.
Non potrei escluderlo, mi aveva risposto serio. La sua risposta mi aveva sorpreso, ma alla fine ne avevamo riso, perchè era facile dimenticarsi di spiriti e fantasmi in una comoda camera da letto del ventesimo secolo, calda, asciutta ed illuminata da una rassicurante lampadina elettrica.


Ora non avevo più voglia di ridere. 
Un gigantesco highlander dai capelli rossi, immobile sotto la mia finestra.
Un gigantesco highlander che non lascia tracce nella neve.
Mi stai dicendo che era un fantasma, professore?
"Io ti troverò" erano le parole che continuavo a sentire nella mia testa.
"Io ti troverò, dovessero volerci duecento anni".
Poteva essere? Mi aveva dunque trovata?
Stando a quel disegno, lo aveva fatto.
Dopo duecento anni, mi aveva trovata, prima che io trovassi lui.
E Frank lo aveva visto.
Ma cosa aveva visto realmente? Il passato? Il futuro?
Il tempo si contorce e si aggroviglia su se stesso, nessuno lo sa meglio di me.
Lui era già morto da duecento anni quella sera, eppure io non lo avevo ancora incontrato.
Se lo avessi visto, in strada, lo sguardo fisso sulla mia finestra, non lo avrei riconosciuto.
Lo sapeva, mentre mi guardava, che io non lo conoscevo ancora? Si, certo che si.
Ma era venuto lo stesso. Era venuto da me. Io avevo sopportato vent'anni la sua assenza ed il suo indelebile ricordo, lui ne aveva sopportati duecento.
L'angoscia della sua mancanza mi travolse nuovamente, come se lo avessi lasciato solo il giorno prima. Era così ingiusto, che un uomo come Jamie fosse destinato a soffrire ancora, e ancora, e ancora, anche dopo la morte.
Lo rividi davanti a me, come l'ultima volta che ci eravamo guardati.
Le sue lacrime mischiate alle mie, la sua mano marchiata stretta al mio marchio.
Sangue del mio sangue, ossa delle mie ossa.
Alla fine, aveva davvero posseduto la mia anima, a prezzo della propria.
L'unica cosa che aveva contato, in quel disperato ultimo momento, era stata la speranza. Una speranza lontana e vaga, ma reale. La speranza di poterci un giorno riunire. Come, quando... era nelle mani di Dio.  Per questo lui aveva mantenuto la sua promessa, una promessa che io avrei udito per la prima volta quando era già stata esaudita. Mi aveva trovata.


Rinvenni con le lacrime agli occhi per trovare MR Travis agitato e preoccupato che accorreva verso di me con un bicchiere di whisky.  Tutto cambia col tempo, ma evidentemente non le pratiche di pronto soccorso scozzese. Mi raddrizzai come meglio potei, e mi disposi a raccontare una storia al mio nuovo amico Charlie.







4 commenti:

  1. misericordia!!! ma tu devi tradurlo e mandarlo alla zia Diana!!!
    in effetti mi sono sempre chiesta perchè Claire nn collega il "fantasma" a Jamie....ottimo lavoro sassenach!!!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mah, pare che la cosa del fantasma avrà una qualche rilevanza nell'ultimo libro..... penso che abbia idee migliori delle mie, la Zietta :-D

      Grazie comunque!

      Elimina
  2. Oh mio Dio, Sassenach, non sarai mica la gosth writer della vecchia zia Diana???
    mi hai riportato a Inverness in un battito di cicglia!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ehhh no. Ma non mi dispiacerebbe esserlo, ora che lo dici :-D

      Elimina